Attraversare le acque
NaviNavigare per acque dolci
La navigazione attraverso le acque interne (lagune, fiumi e canali artificiali), quasi sempre caratterizzate dalla presenza di bassi fondali, si svolgeva con imbarcazioni a fondo piatto, dunque con scafi di poco pescaggio, come ricorda già lo storico romano Tito Livio per le barche impiegate dai Patavini all’epoca delle scorrerie di Cleonimo (ultimi anni del IV secolo a.C.). I relitti di epoca romana rinvenuti nel delta padano e presso i litorali veneti e friulani confermano questi dati costruttivi.
Le barche procedevano a remi e sfruttavano soprattutto la corrente favorevole, aiutate dalla vela quando la direzione del vento lo consentiva. Quando invece era necessario risalire la corrente dei fiumi e dei canali si ricorreva all’alaggio, secondo una pratica rimasta pressoché immutata dai tempi antichi agli inizi del XX secolo: a bordo restava solo il timoniere, mentre gli altri marinai scendevano a terra e trainavano la barca per mezzo di una grossa cima (l’alzaia), camminando lungo gli argini (“alzaia”, dal latino helciaria e dal greco helkein: “tirare”, con evidente riferimento al traino dei natanti controcorrente). Una lettera di Cassiodoro ci offre la singolare immagine della pratica dell’alaggio nella laguna veneta del VI secolo, dove le barche sembrano avanzare attraverso i pascoli perché il canale resta nascosto tra la vegetazione; procedono sicure, lontane dai pericoli del mare, senza l’ausilio della vela, trainate dal passo di marcia dei marinai che, con una curiosa inversione di ruolo, aiutano le loro imbarcazioni a muoversi anziché farsi trasportare da quelle.